L’anno è iniziato così: alla ricerca dello spirito. Se, come la sottoscritta, rientrate nelle folte schiere dei grandi fan di Crozza e delle sue imitazioni, lo spirito è da leggersi con quell’intonazione. Quella della voce stridula di Montezemolo.
Il 2013 sarà anzitutto un anno spiritoso. Ho deciso di tramutare anni di ammiccamenti con il nettare di Bacco in qualcosa di più strutturato iscrivendomi ad un corso di sommelier. Con qualche digressione al luppolo.
Poi c’è lo spirito propriamente detto, quello che invidio a certe persone che non si abbattono mai. Quando vedo qualcuno che non si abbatte di fronte a torti subiti o sfighe generalizzate, beh, ammetto che ci sono momenti in cui la megera che a volte abita la mia testa (alcuni hanno l’omino del cervello, la mia è una megera) per un momento vacilla e mi sussurra all’orecchio: “Ma ci sono o ci fanno?”. Con vago accento burino e palese perplessità.
Per mia fortuna conosco uno sparuto, quanto significativo, numero di persone che sono leggere non in quanto vuote, ma perché sanno riconoscere la pesantezza, ed esserne per questo immuni.
Ho sempre aspirato a diventare come loro, ben sapendo che una parte di me rimane troppo impaurita per esserlo fino in fondo. La compagnia di questo tipo di persone mi ha dato talmente tanto, ispirandomi, da rappresentare un modello anche in periodi in cui ero la brutta copia di me stessa.
Il mio spirito si riferisce all’alcol e alla forza d’animo, ma non solo. Spirito evoca il termine spiritualità. Come già detto in precedenza, non faccio riferimento ad una specifica fede, anche se l’immaginario, il linguaggio, la simbologia afferiscono alla mia religione acquisita: il mondo cattolico romano. Ora più che mai ho bisogno di spirito e di connettermi con quello degli altri. Quando non lo percepisco nell’altro, fatico ad entrarci in contatto. Eppure la ricerca continua.
Infatti quest’anno voglio imparare a mettere “sotto spirito” la mia mente. E qui congiungo la metafora dell’alcol con la spiritualità. Negli ultimi tempi mi è capitato spesso di interrogarmi su quanto – esattamente – l’essere umano sia diventato prigioniero della propria mente. Mi piacerebbe sapere quando, da esseri più o meno concentrati verso il progredire, la sicurezza personale e dei cari e lo star bene, siamo diventati preda dei nostri stessi demoni, scollegati dalle nostre sensazioni e rivolti all’autosabotaggio. La mia personale risposta è da sempre, perlomeno da quando c’è troppo tempo e troppe professioni intellettuali. Anche se sposo la teoria di Jovanotti, i demoni interiori saltano fuori al momento giusto, sarebbe meglio che li riconoscessimo giorno per giorno senza che gli stessi finiscano per esplodere come in una pentola a pressione. Quindi nel 2013 io imparerò (basta verbi fraseologici, meglio un sano, indicativo, futuro) a mettere a riposo, in oblio consapevole, la mia mente.
Sì ecco, il tutto riassunto in sei parole: meno seghe mentali e più vino.