Never Let Go

E alla fine arriva lei.

Regina indiscussa delle opere incomplete, campionessa olimpica delle frasi lasciate a metà, leader nel settore del “Ti voglio ma non ci provo”, esperta riconosciuta a livello internazionale del lanciare il sasso e ritirare la mano.

Passo per paraculo, per chi mi conosce poco. In alcuni casi lo sono pure, verso chi mi conosce poco. In realtà la mia inconcludenza è frutto della paura di essere quella di cui un giorno al telegiornale i vicini intervistati diranno “Aveva tante potenzialità ma non le ha sfruttate”. Anche altre cose influiscono, ma non divaghiamo.

Mi accendo con facilità, in preda all’innamoramento verso un’idea. Poi qualcosa si perde. Così è successo con questo spazio, nato in un momento in cui avevo urgenza di dire mille cose senza dare loro forma. In questi mesi il cervello non mi si è anestetizzato, si è frammentato più del solito, e non ho più avuto la concentrazione o l’esigenza di scrivere. Mo’ si riparte.

Ed ecco di cosa scriverò, prima di riprendere in mano tutte le bozze, iniziate ed ogni tanto limate, in questo periodo di assenza. Scriverò delle ripartenze. Non voglio più bozze nella mia vita.

Ripartire da zero è più facile che ricostruire. Finché lasciavo incompiuti tre, cinque, dieci articoli compravo un dominio e mettevo in cantiere altri progetti. Ero nella situazione, comune a tutti, di quando l’entusiasmo iniziale scema e ti senti sul piano inclinato per cui sai che ritornare in cima ti risulta più difficile (e noioso) che lasciarti andare e rialzarti verso una nuova sfida.

Riprendere un progetto significa guardarlo con occhio critico ma clemente allo stesso tempo. Sono spesso sulla difensiva riguardo al mio lavoro, ascolto e accolgo le critiche ma non reagisco bene, per la paura sopra citata e affini. Le uniche critiche che arrivano davvero al punto, quelle efficaci, sono le mie. Sono dell’opinione che sia necessario lasciar fare degli errori per imparare a non farli. Questo perché i propri sbagli, perché vengano riconosciuti, è necessario che vengano identificati come tali. Quindi per capire che qualcosa non va devi prima farlo male e riconoscerlo. Certo, sai che ammazzare è sbagliato, non hai necessariamente bisogno di andare dietro le sbarre per non farlo. Ma non sai a priori come gestire un gruppo, affrontare una malattia, educare un figlio, avere una relazione o imparare a stare al tuo posto. Devi poter tentare, cadere e ripartire.

Con le persone è davvero difficile farlo. Quando arrivi al punto di non ritorno, anche se hai capito i tuoi errori, qualcosa s’è rotto o comunque non hai più possibilità/voglia/intenzione di riparare. Non credo nella minestra riscaldata e con gli amici richiede una gran dose di fatica e maturità portare avanti qualcosa che si è incrinato.

Coi progetti che sono solo tuoi hai più fortuna. Ai progetti non devi chiedere scusa, non ti tengono il broncio se hai bisogno di allontanarti da loro e se li tratti male. E tu non serbi loro rancore.

Ta-dan! Non si diventa mai qualcosa, si è sempre in divenire. Allora perché è tanto difficile accettare i fallimenti, che spesso appaiono più pesanti da dentro che da fuori, e non prenderli invece come incidenti di percorso, a volte perfino necessari? Tanto vale anche piantarla di incolpare gli altri di come ci sentiamo quando sbagliamo. La verità è che agli altri interessa il giusto dei nostri successi e persino dei nostri fallimenti. Triste, nell’egocentrico mondo in cui viviamo, ma vero.

Riguardando The Breadcrumble posso dire di aver visto dove si poteva migliorare. Per chi leggeva le pippe psico-socio-filocose, rimarranno eccome. Per chi si è sempre chiesto se fosse un blog di cucina, la risposta è no. Ma ho deciso che condividerò lo stesso la ricetta che accompagna il post, evidenziandola alla fine, così che si possa fare “Skip”.

Anni di Internet e disturbo dell’attenzione saran pure serviti a qualcosa. Buona rilettura/cottura!

Piña Nel Crumble

Pina Colada CrumbleQuesto era un pretenzioso crumble di banane e mango con latte di cocco. Quando ho letto la ricetta, l’unica associazione mentale che il mio lato alcolemico ha prodotto è stata la Piña Colada. Perciò (e assolutamente non per risparmiare, eh) ho sostituito il mango con l’ananas e il latte di cocco con il Rum Malibu, quello al cocco, che gli ha dato quello sprint in più e che era già in casa. Nasce il Piña Crumble, di una facilità imbarazzante e dal risultato garantito.

Riscaldare il forno a 180°, tagliare a rondelle 4 banane mature, metterle in una ciotola e irrorarle con un po’ di succo di un limone perché non anneriscano. Tagliare mezzo ananas a tocchetti (va bene anche già tagliato della Del Monte) e mescolarli alle banane. Aggiungere 100 ml di rum e un cucchiaio di latte. A parte via di crumble: mescolare con la punta delle dita 80 grammi di burro ammorbidito con 80 grammi di farina, 100 g di farina cocco, 30 grammi di zucchero di canna e 40 grammi di zucchero normale per ottenere il composto sbricioloso. Mettere la frutta su una pirofila, ricoprirla col crumble, infilarla nel forno caldo per 25 minuti o finché non diventa dorata.