Impressioni di settembre. Incipit a dir poco gettonato, ma sempre valido.
Per me settembre è sempre stato periodo di bilanci, inizi e speranze. Archiviato da un po’ ormai Ferragosto, giornata che considero il vero Capodanno, il mese più tenue tra tutti arriva colmo di propositi per il nuovo anno (scolastico). Qualcuno cantava della notte prima degli esami – che altri ancora dicevano non finire mai. Io aggiungo che, complici i retaggi adolescenziali, non si smette mai di considerare l’autunno il principio di tutto. Attività lavorative, sportive, ricreative; dopo la malinconia che accompagna gli ultimi strascichi d’estate, ci diamo l’ennesima opportunità per ricominciare.
Anche questo post, nato come ritorno alla progettualità settembrina, si è poi tramutato in scrittura di getto, urgente. Quasi rabbiosa. Come solo le mani che tremano possono digitare, escono fiumi di parole impellenti. Farcite di una retorica che non deve essere curata, perché a giudicarla non c’è necessariamente qualcuno, servono solo a mettere (ap)punti.
A quasi un anno da quando ho aperto questa saltuaria finestra su quello che mi frulla in testa, ho meno tempo per l’introspezione, per cucinare e per tirar le somme. Non per questo ne ho meno bisogno, anzi. Ma c’è una novità rispetto all’anno scorso.
Sono sempre stata molto orgogliosa di essere indipendente. Finché questo non mi ha fatto diventare orgogliosa, punto.
Pian piano sto imparando che non è un dramma chiedere aiuto, nonostante prima lo considerassi segretamente una debolezza. A lungo ho preteso che le persone con cui mi relazionavo fossero aperte nel dirmi ciò che volevano da me o da terzi, senza farlo veramente a mia volta.
Per paura di sembrare più piccola, di dipendere, di pesare, ho sempre cercato di fare da me. Invece dagli altri c’è solo che da imparare, anche da quelli a cui pensiamo di essere superiori. Fatico ad ammettere che ci sono molte – spesso penso troppe – cose che non so fare e che vorrei fare. A volte faccio ancora fatica a chiedere una mano e questo non perché io sia migliore di nessuno, ma perché conosco la difficoltà che mostrarsi vulnerabili porta. Aiuto, (l’ex) sconosciuto: work in progress.
Una cosa invece non ho abbandonato: i giochi di parole su più livelli. Aiuto, lo sconosciuto rappresenta anche un inno al mio amore per l’Altro, e dunque per la diversità, frutto di quell’avida e a tratti inopportuna curiosità con cui assorbo tutto quello che mi circonda. Curiosità che spero di non perdere mai.
Tutti tendiamo a pensare che stiamo bene solo con persone simili a noi. Vero, generalmente sono proprio le persone che scegliamo di portare avanti, per avere un terreno comune e anche per facilitarci la vita. Tutto scorre più liscio accanto a persone che ragionano come noi, che ci comprendono. Sono quelle più fastidiose, con una forma mentis del tutto diversa dalla nostra a portarci a fare quel benedetto “miglio in più”. Se siamo costretti a frequentarle, non può che andare a nostro vantaggio.
Buon anno!